Il protocollo della sperimentazione cui fa riferimento questo articolo è disponibile negli ATTI DEL CONVEGNO "Cannabinoidi e dolore: attualità e prospettive" tenutosi alla Università di Milano-Bicocca il 28 ottobre 2005
| |
Edizione di Torino
Lunedi 7 novembre 2005
Il progetto coordinato dall´oncologo Mussa: "All´estero il suo uso è
già molto diffuso, da noi esiste un pregiudizio politico"
La cannabis come antidoto al dolore
Sperimentazione alle Molinette su malati di tumore e Aids
L´Ordine dei medici applaude: "Bisogna umanizzare le cure senza
alcun tabù"
ALBERTO CUSTODERO
Per gli antichi era una medicina al punto che i cinesi, nel tremila
avanti Cristo, l´avevano chiamata «erba superiore». Oggi, invece, la
cannabis è sinonimo di spinello, di droga leggera: chi ne fa uso
viene segnalato in prefettura come tossicomane, chi la vende - o la
cede - commette il reato di spaccio di droga. Stamattina, di
cannabis si parlerà alle Molinette, in una riunione ristretta che si
terrà nell´ufficio del professore ordinario di oncologia, Antonio
Mussa. Il professor Mussa vuole iniziare una sperimentazione (la
prima pastiglia potrà essere somministrata già entro qualche
settimana), utilizzando la cannabis non certo come spinello da far
fumare ai suoi ricoverati. Ma come farmaco anti-dolorifico da
somministrare ai pazienti terminali oncologici, ma non solo. Ad
esempio, anche ai malati di Aids.
Non è un caso che l´idea della sperimentazione sia venuta a Mussa:
essendo ex euro-parlamentare eletto nelle liste di An (partito
proibizionista in tema di droghe leggere), ha più di altri facilità
a convincere quelli del suo partito e, in particolare, il ministro
della Salute Francesco Storace. «All´estero, l´uso terapeutico
antidolorifico della cannabis su malati terminali di tumore - ha
spiegato il docente delle Molinette - è già molto diffuso. Non è
sperimentale. In Italia, invece, esiste ancora un pregiudizio di
tipo politico. Ecco perché mi assumo la responsabilità, come
ricercatore, e come ex politico indipendente nelle fila di An, di
iniziare la sperimentazione nel mio reparto. E senza avere di questo
ancora avvisato il ministero».
Utilizzare una pastiglia con il principio attivo della cannabis non
richiede autorizzazioni particolari in quanto il farmaco è già
commercializzato all´estero. Può essere prescritto da qualunque
medico. È sufficiente seguire un iter burocratico e incaricare
dell´acquisto la farmacia dell´ospedale. Perché, allora, occorre una
sperimentazione? «Vorremmo studiare un protocollo - ha spiegato
ancora il docente delle Molinette - per dimostrare in modo
scientifico l´efficacia di questo farmaco come anti-dolorifico.
Sperimentazioni analoghe, del resto, sono già in corso su malati di
sclerosi multipla. È importante fare cultura per vincere le
resistenze che dieci anni fa abbiamo incontrato per introdurre la
morfina nei reparti. La gente urlava di dolore, e c´era chi diceva
che bisognava lasciarla soffrire. Poi è sceso in campo Veronesi e
oggi le cure palliative sono routine».
L´iniziativa di Mussa è stata accolta favorevolmente dal presidente
dell´Ordine dei Medici, Amedeo Bianco. «La terapia del dolore - ha
spiegato il dottor Bianco - è una delle priorità da prendere in
considerazione nel processo di umanizzazione delle cure. E non deve
conoscere tabù. Ecco perché sono benvenute iniziative e
sperimentazioni sull´uso di farmaci o sostanze che si dimostrino in
grado di coniugare meglio tollerabilità ed efficacia».
La morfina, dunque, sarà sostituita dalla cannabis nelle terapie
palliative oncologiche? «Nient´affatto», ha precisato Mussa. «Si
tratta di due farmaci con effetti collaterali e controindicazioni
diversi. Il primo, provoca depressione, occlusioni intestinali,
assuefazione, inappetenza e ipotensione. Il secondo, invece, stimola
l´appetito, è un anti-nausea, rende euforici, non provoca disturbi
intestinali, e non dà dipendenza».
Perché, dunque, non usare la cannabis anche in Italia, nonostante da
anni varie regioni italiane (come la Sardegna), abbiamo sottoscritto
proposte di legge? Le ragioni sono principalmente due. La prima - di
tipo politico - perché la cannabis è associata alla droga. La
seconda, di natura commerciale: le aziende farmaceutiche,
guadagnando poco sulla sua commercializzazione, non hanno interesse
a promuoverne la diffusione. A questo proposito, è intervenuto Mario
Giaccone, presidente dell´ordine dei Farmacisti. «Il farmacista non
ha preclusioni o pregiudizi nei confronti di una sostanza perché
ragiona in termini di principio attivo. Nel caso della cannabis, è
stato l´abuso, e non l´uso, a procurarle la sua immagine negativa.
In modo regolamentato dalla legge, potrebbe dare invece dare
risultati positivi, così come è stato per la morfina».