Per i dolori da neuropatia anche meglio della morfina Mentre in Germania si verifica sui tic, novità sul fronte immunitario
Oltre alle verifiche sulle sclerosi multipla, studiosi del Dipartimento di riabilitazione dell’Università di Washington auspicano l’avvio di studi sull’uso della pianta in pazienti con sclerosi laterale amiotrofica, malattia neurologica particolarmente grave. Le proprietà analgesiche, rilassanti la muscolatura, broncodilatative, di riduzione della salivazione e stimolanti l’appetito della pianta, sembrano, infatti, particolarmente adatte a dare sollievo a una malattia molto pesante e non trattabile. Sempre in campo neurologico, diversi i filoni di ricerca. Innanzitutto, il dolore da neuropatia, sia di origine diabetica sia di altra natura. Qui la cannabis promette di dare il meglio di sé. La ragione sta nella maggiore diffusione dei recettori CB1, rispetto a quelli per gli oppiodi (morfina), nei grossi tronchi nervosi, che si pensa siano la fonte del dolore neuropatico. Ma non dobbiamo pensare a una contrapposizione tra cannabinoidi e oppiodi, poiché queste sostanze lavorano in sinergia: la prova viene dalla recente, incoraggiante, sperimentazione di cannabinoidi nella terapia della sindrome da astinenza da morfina, eroina e droghe simili. Inoltre, poiché i cannabinoidi sono in grado di bloccare la liberazione di glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio, che è implicato nella patogenesi dell’ictus, è in corso di sperimentazione sull’animale l’uso dei derivati dell’erba nella terapia di questa pericolosa malattia acuta. Infine, un gruppo di psichiatri dell’Università di Hannover ha recentemente verificato, in doppio cieco con placebo, la sicurezza del derivato THC su persone affette da tic nervosi (sindrome di Tourette). Secondo i ricercatori tedeschi, la sostanza, che altri studi hanno già indicato come utile nel controllo dei tic, non ha effetti negativi di tipo neuropsicologico. In tempi recenti, ha preso piede la ricerca in campo immunitario. L’anno scorso è stato pubblicato un lavoro che dimostra l’efficacia di un componente della Marijuana nella terapia dell’artrite indotta sull’animale da esperimento. La sostanza si chiama cannabidiolo (CBD) e, a differenza del THC, non è attivo sul cervello. La sua azione ha come bersaglio il recettore di secondo tipo collocato su alcune cellule immunitarie. Somministrando dosi modeste di questa sostanza si ha un potente effetto antinfiammatorio, con riduzione della produzione delle principali citochine infiammatorie. Risultati simili si sono avuti, in altri esperimenti, su modelli animali di sclerosi multipla e morbo di Crohn. (f. b.) |
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