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Rassegna stampa 2002
Martedì 7 Maggio 2002
L’INTERVISTA / Parla Giuseppe Laras, guida religiosa della comunità ebraica di Milano: giusto usarla per alleviare il dolore

Il rabbino: sì alla marijuana per uso medico

MILANO - Scusi, rabbino Laras, ma la marijuana è kosher? «Beh, in senso terapeutico sì, in fondo kosher significa "adatto" e per lenire la sofferenza il principio attivo della cannabis, a quanto dice la scienza medica, è senz’altro adatto...». Il professor Giuseppe Laras, docente di storia della filosofia ebraica all’Università statale, rabbino capo di Milano e presidente dell’assemblea rabbinica d’Italia, sorride alla battuta, «la verità è che non capisco questa alzata di scudi contro l’uso di hashish e marijuana a scopo terapeutico: bisognerebbe lasciar liberi i medici di decidere con scienza e coscienza, non vedo perché farne una questione politica». Eppure il voto del consiglio regionale lombardo - la mozione presentata dal radicale Yasha Reibman e approvata il 30 aprile che chiede al governo «di regolamentare l’uso medico della canapa indiana e dei suoi derivati» - ha turbato tanti. Anche se un sondaggio Datamedia rivela che il 74 per cento degli italiani è a favore.
C’è chi lo considera una sorta di cavallo di Troia per far passare la liberalizzazione delle droghe leggere, che ne dice?
«Non facciamo processi alle intenzioni, i radicali talvolta saranno un po’ come Don Chisciotte ma sono persone oneste, sappiamo che sono antiproibizionisti ma qui il discorso è diverso: personalmente sono contrario alla liberalizzazione, però in questo caso si parla solo di uso terapeutico. Israele, per dire, ha una legislazione antidroga severissima, eppure la cannabis è accolta come mezzo per attenuare il dolore».
E allora perché queste resistenze?
«Chissà, anche da un punto di vista religioso il medico deve curare, fare il possibile e l’impossibile per attenuare le sofferenze di una persona, con buona pace di chi vede nel dolore una sorta di strumento provvidenziale di Dio...».
Non c’è nessuna nobiltà nella sofferenza...
«Macché, non rientra nel pensiero ebraico né in quello cristiano. Certo, esistono gli oltranzisti: anche alla fine dell’Ottocento, in certi ambienti, impedivano alla partorienti di usare il cloroformio perché pensavano di fare la volontà di Dio, pensi un po’...».
Come la giustificavano?
«In Genesi si legge "partorirai con dolore", ma è una constatazione, non una prescrizione. Del resto il dolore ti impedisce di recuperare il rapporto individuale, verticale con Dio, non riusciamo neanche a concentrarci: talvolta spersonalizza, rende peggiori. Se si trova una sostanza analgesica meno tossica e pesante della morfina, come dicono sia la cannabis, ben venga. C’è una tentazione, magari inconscia, a celebrare la sofferenza, ma così si fa come quelli che non vorrebbero curare i malati di Aids perché pensano sia un castigo divino: entriamo nel campo della patologia, la patologia dello spirito. Nella Bibbia non c’è nulla di questo...».
E il libro di Giobbe?
«Dice una cosa diversa: che ci sono sofferenze inspiegabili, una sorta di nebbia fra uomo e Dio che impedisce di conoscere il perché della sofferenza. Giobbe è un giusto eppure patisce, ci sono dolori che sfuggono alla nostra comprensione».
Quindi?
«Bisogna affrontare la questione con realismo e responsabilità. Ci saranno delle controindicazioni alla cannabis, ma esistono anche alla morfina, pure l’aspirina ne avrà qualcuna, se è per questo! Penso ai malati terminali, alle persone in chemioterapia, insomma a tutti coloro che soffrono tantissimo e potrebbero avere un beneficio. Per questo mi sento di sostenere la raccomandazione al governo: lasciamo che a decidere di volta in volta siano i medici, abbiamo fiducia in loro».
Gian Guido Vecchi

 

 

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