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Rassegna stampa 2002

14 marzo 2002

"Erba" medica, il no di Sirchia

"Nessun farmaco approvato". Eppure il ministero della Salute ne ha già autorizzato l'uso in un altro caso

GIANNI ROSSI BARILLI

La marijuana fa bene? A volte sì. Anzi, ci sono casi in cui è ritenuta addirittura, da medici competenti, uno strumento terapeutico molto utile. Può servire ad esempio per ridurre gli effetti collateriali di una chemioterapia, per la cura dell'epilessia o della sclerosi multipla. La letteratura e le esperienze sull'argomento sono cresciute molto negli ultimi anni a livello internazionale. Eppure il ministero della Salute italiano non ci sta. Proprio ieri, in relazione a un recente fatto di cronaca, ha diffuso una nota ufficiale per puntualizzare che "nessun medicinale contenente derivati della cannabis sativa risulta autorizzato in Italia, né vi è stata alcuna comunicazione di sperimentazione approvata a questo scopo". La precisazione del ministro Girolamo Sirchia nasce dalla decisione di un magistrato di Venezia, Barbara Bortot, che alcuni giorni fa ha autorizzato una signora ammalata di tumore ai polmoni a fare uso di farmaci a base di thc (il pincipio attivo della cannabis) per alleviare le proprie sofferenze. La costituzione, ha stabilito il giudice, garantisce il diritto alla salute, e il servizio sanitario (nella fattispecie la Asl di San Donà di Piave) ha l'obbligo di procurarsi all'estero, dove non sono illegali, i farmaci necessari alla paziente. Il ministro Sirchia, si sa, è un cattolico conservatore e condivide in materia di droghe la linea proibizionista del governo di cui fa parte. Nel caso in questione, però, sarebbe stato davvero difficile limitarsi a spacciare un po' della solita ideologia secondo cui tutte le droghe sono uguali in quanto parenti strette del demonio. Il ministro ha perciò lasciato nell'armadio i panni del politico rivestendo quelli del tecnico, per spiegare che non ci sono certezze scientifiche che permettano di stabilire che la cannabis è "indispensabile" per la paziente autorizzata a farne uso dal tribunale di Venezia. Se comunque si pensa di utilizzare questa sostanza come analgesico, aggiunge, la nota ministeriale, "i farmaci disponibili e rimborsati dal servizio sanitario nazionale consentono un controllo adeguato del dolore in fase terminale". Il ministro della Salute ha fatto anche sapere di essere contrariato per non essere stato consultato preventivamente sulla vicenda veneziana. Sarà per questo che ha avuto una reazione così rigida, mentre in un altro caso simile sembra essersi dimostrato più comprensivo. La storia, di cui parla il numero di marzo della rivista antiproibizionista Il lecito, riguarda una bambina di 11 anni affetta da una grave forma di epilessia farmaco-resistente. Un neurologo dell'ospedale Umberto I di Roma, vista l'inefficacia dei farmaci in commercio, ha pensato di provare il "dronabinol", un derivato sintetico della cannabis. Il comitato etico dell'ospedale ha dato parere favorevole all'iniziativa e avviato le procedure per procurarsi all'estero la sostanza, prodotta dall'azienda tedesca "Thc Pharm". La richiesta di importazione del farmaco è stata poi inoltrata al ministero della Salute che (sopresa) si è detto disponibile a concederla in tempi brevissimi. Con tutto questo, gli scienziati e i politici che ci governano restano, come testimonia la presa di posizione di ieri di Sirchia, sul piede di guerra contro le terapie a base di marijuana. Della diffidenza generale si è fatto interprete anche il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell'istituto Mario Negri, secondo il quale la scarsità di studi esistenti in materia trasformerà in cavie i pazienti che sceglieranno di curarsi con thc. Se le cose stanno così, è già una buona cosa che la cannabis e i suoi effetti (terapeutici e non), al contrario di molte delle sostanze prodotte dall'industria farmaceutica, siano noti alle culture umane da migliaia di anni. Tra tanti che non si fidano, però, c'è qualcuno che ci crede. Si tratta di ACT (Associazione per la Cannabis Terapeutica) che sta conducendo in Italia una intensa battaglia per il riconoscimento delle virtù medicamentose del thc. Il 16 dicembre scorso, ACT è tornata alla carica, dopo il buco nell'acqua della legislatura precedente, inviando a numerosi parlamentari di diverse tendenze politiche una lettera con allegata proposta di legge. Sette articoli in tutto per permettere coltivazione, produzione e commercializzazione della cannabis anche nel nostro paese. I consensi politici, in un arco di sigle che va da Forza Italia a Prc, sono stati parecchi. Mancano solo i fatti.

 

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