Venezia
Il ministero della salute si mette di traverso alla
clamorosa ordinanza del giudice di Venezia, Barbara Bortot,
che ha intimato alla Usl di San Donà di fornire a una donna
malata di tumore medicinali derivati dalla Cannabis Sativa -
la marijuana - non forniti dal servizio sanitario nazionale ma
già disponibili in molti Paesi europei dalla burocrazia molto
più agile di quella italiana. Secondo il giudice, il diritto
alla salute della malata di tumore comprende l'uso di ogni
possibile risorsa medica e farmacologica che il progresso
abbia reso disponibile, indipendentemente dai permessi e dai
tempi delle autorizzazioni ministeriali: «La Usl si procuri
all'estero quei medicinali e li fornisca alla paziente» ha
ordinato il giudice.
Una pronuncia chiarissima, che pone il diritto alla salute
al di sopra di ogni burocrazia. Ieri però il Ministero
diramava una nota con la quale faceva sapere quanto è già
ampiamente noto, e cioè che «nessun medicinale contenente
derivati della Cannabis Sativa risulta autorizzato in Italia,
né vi è stata alcuna comunicazione di sperimentazione
approvata a questo scopo».
Per quanto riguarda l'impiego a scopo analgesico dei
derivati della Cannabis Sativa, per il ministero «i farmaci
disponibili e rimborsati dal servizio sanitario nazionale
consentono un controllo adeguato del dolore grave in fase
terminale».
«Al momento non risulta - continua la nota - pervenuta alla
direzione generale una richiesta che motivi sul piano
scientifico la indispensabilità del ricorso ai cannabinoidi
nella paziente dalla Asl di San Donà di Piave. Il ministro
della salute Girolamo Sirchia auspica che queste azioni siano
in futuro precedute da una consultazione preventiva con il
ministero ed in particolare con la commissione unica del
farmaco (Cuf), unici organismi preposti alla valutazione in
rapporto a rischi e benefici, onde evitare iniziative che non
hanno basi scientifiche
sufficienti».