Una settimana dopo torna a Roma, e le viene somministrato, in regime di day-hospital, una dose di 4
grammi in 6 giorni (1/2 grammo nei primi due giorni, poi 1 grammo
per i successivi due, poi ancora 1/2 grammo per due giorni).
La risposta alla terapia praticata non è purtroppo delle
migliori.
Racconta la paziente: "Già prima della fine della
settimana ho avuto un notevole peggioramento nel camminare, incubi,
disturbi nella sensibilità al caldo e al freddo e terribili
brividi di freddo. Mi viene detto che è tutto normale.
Obietto che la sera prima di andare in ospedale ero andata a ballare
con degli amici e non avevo alcun problema motorio! Torno a casa
e comincio a stare sempre peggio: ai problemi motori si aggiungono
problemi di digestione, aumentano i brividi e i disturbi della
sensibilità, agli incubi si aggiungono episodi di sonnambulismo
e vedo ad occhi aperti cose che non ci sono, in più la
mia vista perfetta (ho undici decimi ancora oggi) dà i
numeri. Insomma, un disastro!. E va avanti così fino ai
primi di febbraio del '96. In più comincio a convincermi
di essere matta perché il medico continua a dirmi che esagero
e sono io che mi sto sognando queste cose. "
A febbraio del '96 la paziente si sottopone
ad un nuovo controllo presso l'ospedale S.Eugenio. Constatato
l'insuccesso, la terapia con cortisone viene sospesa.
"Finalmente mi prendono sul serio ! " - racconta la
paziente - "Ma alla mia domanda 'Quando starò meglio?'
il medico risponde, invero un po' brutalmente, 'Perché
non lo sa che di sclerosi multipla non si guarisce?'. Bel modo
di venirlo a sapere! "
Durante l'estate del '96 la paziente
registra un discreto miglioramento: "Sto meglio, vado per
un po' al mare da sola, mi sento quasi 'io'. "
Alla metà di agosto subentra una
paresi del nervo faciale destro.
La paziente consulta il Medico curante che la tranquillizza e
le prescrive una terapia a base di antiinfiammatori non-steroidei
(naproxene 500 mg).
La terapia non sortisce grossi effetti
per cui alla nel settembre '96 la paziente si sottopone ad un
ulteriore controllo a Roma, comprensivo di risonanza magnetica,
a conclusione del quale viene proposto un ciclo di terapia con
Interferon-beta. Informata sui possibili effetti collaterali e
memore degli effetti disastrosi della terapia con cortisone, la
paziente rifiuta di sottoporsi al trattamento.
Nel novembre del '96 consulta un Neurologo
dell'ospedale San Raffaele di Milano, il quale suggerisce un trattamento
con il Copolimero-I (Cop-I) e indirizza la paziente presso un
collega del II Policlinico di Napoli ove è in corso una
sperimentazione del farmaco.
Il 2 gennaio 1997 la paziente inizia il trattamento con il Cop-I
e sembra che vada tutto bene: non si presentano effetti collaterali,
la sintomatologia regredisce quasi completamente, la paziente
trascorre due anni quasi del tutto libera da sintomi.
A partire dall'aprile del '99 la paziente
inizia tuttavia a lamentare facile affaticabilità e comparsa
di crampi, tremori e irrigidimenti agli arti inferiori. "Sono
sempre più stanca, comincio a camminare col bastone. Continuo
col Cop-I ancora per un anno (sino all'estate 2000) ma i controlli
non sono mai soddisfacenti e cominciano a dirmi che devo abituarmi
all'idea che la malattia ha cambiato forma ed è diventata
una forma secondaria progressiva. E che non c'è niente
da fare, anche il copolimero serve a pochissimo, se non a niente."
Nel tentativo di contrastare la spasticità
muscolare agli arti inferiori che va progressivamente peggiorando
le vengono prescritti farmaci miorilassanti convenzionali (piridinolo,
baclofene) ma senza risultati e anzi con fastidiosi effetti collaterali.
La paziente viene a questo punto a sapere
che in Inghilterra sono in corso studi clinici che prevedono l'utilizzo
di derivati della cannabis per il trattamento della spasticità
muscolare nei pazienti con sclerosi multipla.
E' a questo punto che la paziente ci
contatta chiedendoci informazioni al riguardo.
Le spieghiamo che la efficacia dei derivati
della cannabis nel trattamento della spasticità è
suffragata, oltreché da numerose evidenze aneddotiche,
anche da alcuni studi di piccole dimensioni (v. voci bibliografiche
19-23 dell'appendice 2), nonché da alcune recenti evidenze
sperimentali (v. voce bibliografica 37 dell'appendice 2).
Chiariamo che la sua non felice esperienza
con i farmaci tradizionali è condivisa, purtroppo, da molti
pazienti affetti da sclerosi multipla: i farmaci attualmente disponibili
sono infatti ben lontani dall'avere raggiunto accettabili livelli
di efficacia e tollerabilità. Lo stesso Interferone, su
cui molto si è investito, ha dimostrato grossi limiti:
al di la dei frequenti e, talora non trascurabili, effetti collaterali,
sembra infatti che molti pazienti, dopo una fase di iniziali benefici,
diventino resistenti al farmaco.
Riteniamo che al suo caso si possa applicare
la raccomandazione del Dr. Vaney, chairman della sessione sui
cannabinoidi della Conferenza Internazionale sulla Sclerosi Multipla
tenutasi a Basilea nel settembre '99, che in quella consesso invitava
a "considerare la cannabis come una efficace alternativa
per i pazienti che non rispondono alle terapie convenzionali".
Pertanto, considerato che in Italia non
esistono a tutt'oggi cannabinoidi registrati nel prontuario farmaceutico
italiano, né sembra che alcuno abbia intenzione di promuovere
studi clinici controllati in merito, e considerata la indisponibilità,
assolutamente condivisibile, della paziente a ricorrere al mercato
nero, ci limitiamo a fornirle i recapiti di alcune Istituzioni
di ricerca inglesi (Royal Pharmaceutical Society e GW Pharmaceuticals)
presso le quali sappiamo essere in corso studi clinici controllati
al riguardo.
La paziente è persuasa a procedere per questa via, ma poco
dopo il nostro colloquio la sintomatologia spastica agli arti
inferiori si aggrava ulteriormente, divenendo seriamente invalidante:
"Alla fine sono dovuta venire a patti con il terribile spettro
della sedia a rotelle, che sono costretta ad utilizzare saltuariamente
in casa, sempre per uscire. Se ho ben capito a questo punto medici
e medicine non possono aiutarmi molto (se ho una dote è
quella di essere realista). Vorrei solo qualcosa per i crampi
e per i dolori che non mi faccia vomitare l'anima, se poi dovessi
scoprire che anche la cannabis non è efficace, per lo meno,
saprei di averci provato."
"Mi auguro sinceramente che l'atteggiamento
della Sanità italiana progredisca verso una maggiore considerazione
e comprensione per malati, come me, in una situazione oggettivamente
senza uscita. E, mi creda, lo dice una persona che non avendo
mai fumato neanche uno spinello non saprebbe proprio come fare
se decidesse di rivolgersi al mercato nero."
Per quanto ci si sforzi, alla luce delle
evidenze a tutt'oggi disponibili, non riusciamo a trovare è
un solo motivo valido per cui alla paziente debba essere negata
la possibilità di un tentativo con i derivati della cannabis.
E' risaputo infatti che i cannabinoidi
hanno una bassissima tossicità e questo rende ancora più
incomprensibile il rifiuto pregiudiziale nei confronti di un gruppo
di sostanze che, se utilizzate in un contesto di appropriato controllo
medico, potrebbero rivelarsi estremamente utili.
Pertanto nel ribadire la opportunità
di prescrivere alla paziente Maria M. un tentativo terapeutico
con i derivati della cannabis, inoltro alle autorità sanitarie
competenti l'appello della paziente perché vengano tempestivamente
individuate opportune modalità legali per la soddisfazione
di tale prescrizione.
Dott. Salvatore Grasso