La capacità dei derivati della cannabis di stimolare l'appetito è nota da tempo e costituisce una esperienza comune per i molti che ne fanno un uso 'ricreativo'. Alcune evidenze aneddotiche suggeriscono che tale proprietà possa essere utilizzata a fini terapeutici nei pazienti HIV positivi [1].
Verifiche sperimentali, condotte su volontari sani, hanno confermato che il fumo di marijuana aumenta l'appetito e l'assunzione di cibo, incrementando il peso corporeo [2-3].
Le basi razionali di tale proprietà dei cannabinoidi sono state recentemente chiarite da un gruppo di ricercatori italiani che hanno dimostrato che il sistema dei cannabinoidi endogeni ha un ruolo centrale nella regolazione dell'apporto di cibo [4].
Diversi studi clinici controllati condotti negli anni '90 [5-8], hanno saggiato, in pazienti HIV positivi, l'efficacia nella stimolazione dell'appetito di un cannabinoide sintetico, il dronabinol. La FDA ne ha autorizzato l'uso quale 'stimolante per l'appetito nei pazienti con perdita di peso AIDS-correlata' a partire dal 1992; il farmaco è stato successivamente registrato, con questa specifica indicazione, anche in alcuni paesi europei. L'Italia non è ovviamente fra questi.
Tra i pazienti HIV positivi statunitensi, e supponiamo anche tra quelli italiani, l'uso terapeutico dei derivati della cannabis sembra essere piuttosto diffuso. Secondo dati della casa farmaceutica americana Unimed, i sieropositivi sono la categoria di pazienti numericamente più rilevante tra gli utilizzatori di dronabinol. Molti pazienti comunque continuano a preferire ai cannabinoidi sintetici i derivati naturali, che sono a loro dire più efficaci e meglio tollerati.
La diffusione dell'uso terapeutico dei cannabinoidi tra i pazienti HIV positivi ha fatto sorgere qualche timore nel mondo medico. Una preoccupazione diffusa riguardava le possibili interazioni negative della cannabis con il sistema immunitario. È stato sollevato inoltre il problema di possibili interazioni dannose tra i farmaci antivirali e i derivati della cannabis, dal momento che gli inibitori delle proteasi e il THC utilizzano, a livello epatico, analoghe vie metaboliche.
Tali timori sono stati dissipati da due recenti studi, entrambi condotti presso l'Università di San Francisco, che hanno fornito al riguardo conclusioni molto rassicuranti.
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Descrizione della malattia |
Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo esistono circa 36 milioni di persone che hanno contratto l'infezione da virus HIV. Grazie alle moderne terapie l'evoluzione della storia clinica dei pazienti sieropositivi si è radicalmente modificata e il numero dei pazienti che sviluppano la sindrome da immunodeficienza (AIDS) è fortunatamente diminuito. In Italia, stando ai dati dell'Istituto Superiore di Sanità, nel 2000 sono stati diagnosticati 1426 casi di AIDS (nel 1996 erano 5048, nel 1999 sono stati 2083). Anche il numero dei decessi è in sensibile diminuzione (2134 nel 1996, 333 nel 1999, 131 nel 2000).
È noto che il mantenimento di un adeguato apporto calorico e peso corporeo è di importanza critica nel determinare la prognosi dei pazienti con infezione da HIV. Quando, per la presenza di infezioni dell'apparato digerente, non si riesce a garantire un adeguato apporto di cibo, possono comparire segni di malnutrizione. Se il peso corporeo scende oltre una certa soglia si instaura il quadro della cosiddetta wasting syndrome (sindrome da deperimento), che è spesso associato ad una prognosi infausta.
La maggior parte dei farmaci studiati quali stimolanti dell'appetito nei pazienti con sindrome da deperimento AIDS correlata ha dato risultati insoddisfacenti. L'unico stimolante di una qualche efficacia risulta essere il megestrol acetato (Megace®), un derivato del progesterone che ad alte dosi (320-640 mg/die) ha prodotto qualche risultato in termini di aumento di peso, dovuto però prevalentemente ad un aumento del grasso corporeo. |
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Il primo studio , condotto dal Dr. Donald Abrams della University of California in San Francisco, ha coinvolto 67 pazienti in terapia con inibitori delle proteasi [9]. I pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi di trattamento: alcuni assumevano cannabis per inalazione, altri capsule di dronabinol e altri ancora un placebo. A conclusione del periodo di osservazione si è victo che sia la cannabis fumata che il THC per via orale non hanno influenze negative sulla conta delle cellule CD4+ o sulla carica virale. Anzi cannabis e THC, in confronto al placebo, facevano registrare piccoli miglioramenti, statisticamente non significativi, di questi parametri di laboratorio. Cannabis e THC inducevano inoltre aumento dell'appetito e incremento del peso corporeo medio di 2.2 kg , contro 0.6 kg dei pazienti trattati con placebo.
Con analoga metodologia sono state quindi valutate le possibili interazioni negative tra i cannabinoidi e due farmaci antivirali, nelfinavir ed indinavir, attualmente utilizzati nei pazienti con AIDS [10]. È risultato che i cannabinoidi, sia naturali che sintetici, non hanno avuto alcun impatto negativo sull'efficacia delle terapie antivirali.
Molti pazienti oltretutto riferiscono che i cannabinoidi oltre a stimolare l'appetito sono efficaci anche nel ridurre la nausea e altri effetti collaterali dei farmaci antivirali. Alcuni riferiscono di trarre giovamento anche dagli effetti analgesici, antidepressivi e ipnoinduttori. Per l'insieme di queste proprietà, unite al buon profilo di tollerabilità di queste sostanze, i derivati della cannabis sono stati definiti dalla British Medical Association un utile strumento nella terapia delle infezioni da HIV, sul quale puntare l'attenzione per ulteriori approfondimenti [11]. |