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Recensione Samorini il manifesto 12 Giugno 1997 Torna alla pagina precedente
CANNABIS

Il fumo d'erba da Gautier al duemila

- GIANCARLO ARNAO

N ELL'OTTOCENTO la cannabis viene usata in Occidente come farmaco principalmente per i suoi effetti sedativi e analgesici. Attorno alla metà del secolo comincia ad essere sperimentata come strumento per ottenere stati di coscienza alterati: è del 1845 la prima pubblicazione del parigino "Club des Haschischins" fondato da Theophile Gautier insieme a Baudelaire, Hugo, Balzac, Dumas e altri; nello stesso anno Moreau de Tours pubblica uno studio sugli effetti psicoattivi della sostanza, e nel 1855 esce una monografia sull'esperienza con l'hashish del tedesco Von Bibra. In questo contesto storico sono nate le testimonianze di alcuni medici italiani dell'Ottocento riportate da Giorgio Samorini nel suo ultimo libro (L'erba di Carlo Erba. Per una storia della cannabis indica in Italia: 1845-1948, Nautilus- Torino, pp. 184, L. . 20.000). Le prime sperimentazioni avvengono a Milano, dove la cannabis è legalmente in vendita presso la farmacia del dr. Carlo Erba a Brera, e sono guidate dal medico Giovanni Polli.

I medici hanno indagato le proprietà terapeutiche della cannabis sperimentando la sostanza su se stessi prima che sui pazienti, e hanno fornito dettagliati resoconti delle loro esperienze. Poiché il linguaggio medico dell'epoca non è appesantito (come quello contemporaneo) da terminologie iperspecialistiche, la lettura è scorrevole, e il libro può essere letto come un romanzo. Né mancano le emozioni, perché gli esperimenti dei nostri "eroi" si concretano in rischiose avventure: basti pensare che tre medici milanesi hanno fatto una ricerca sul livello di tossicità della cannabis, assumendo dosi volutamente eccessive, di cui si ignoravano i possibili effetti.

I motivi "ufficiali" della ricerca sono quelli di sperimentare l'efficacia terapeutica della sostanza su malattie allora molto diffuse e incurabili, come la rabbia e il colera - tentativi che hanno avuto esito incerto, e appaiono di scarsa attualità. Tuttavia, chi legge non può sfuggire all'impressione che gli sperimentatori siano spinti da un'altra segreta molla: il desiderio di esplorare l'ignoto, analogo a quello che muoverà molti "psiconauti" del secolo XX. Infatti, le pagine più affascinanti del libro sono le reazioni personali dei suoi personaggi agli effetti della sostanza, descritti in maniera puntuale e poetica. Come quella di Polli, che scrive: "E questo incalzarsi rapidissimo di idee, estinguentesi a vicenda le une le altre, fa sì che il tempo sembri lunghissimo, e che si provi una gran meraviglia nel vedere che l'indice del quadrante dell'orologio appaia quasi immobile". O quella del Ceradini, che descrive "un gaudio veramente ineffabile,... Così intenso, ch'io credevo di non poterlo sopportare troppo a lungo senza pericolo, sentendomi quasi venir meno". Le osservazioni di questo tipo anticipano le acquisizioni più recenti sulla dinamica degli effetti della sostanza. Ma dal libro di Samorini emergono anche molti aspetti che appaiono piuttosto lontani dall'esperienza dei consumatori odierni. Noi sappiamo, ad esempio che la cannabis può provocare allucinazioni soltanto in dosi fortissime e in casi rari. Viceversa, i protagonisti del libro di Samorini riportano quasi di regola episodi di allucinazioni incredibilmente intense. Come la testimonianza del medico napoletano Valieri: "caleidoscopio (...) di conversazioni affascinanti, di danze leggere e di donne leggiadre e voluttuose che si abbandonano ed ammirano, di sale splendidissime per mense, per vini e per profumi inebrianti".Episodi di allucinazioni sono stati riferiti peraltro anche da altri sperimentatori della stessa epoca. Le differenze dagli spinellatori contemporanei possono spiegarsi con i dosaggi, con la via di assunzione (prevalentemente orale), ma soprattutto considerando l'importanza del set (condizioni e struttura mentale della persona) e del setting (circostanze e motivazioni dell'uso). E' ragionevole pensare che il set e il setting (inteso soprattutto come contesto culturale) dei medici italiani dell'800 fossero molto diversi da quelli di un consumatore di cannabis degli anni '60 e '70 - e ancora più da quelli di oggi.

La questione è complessa e intrigante. Ma Samorini non entra nel merito. Il ruolo che orgogliosamente rivendica è quello di scopritore, da archivi polverosi, di tasselli colorati e preziosi per ricomporre la storia della "droga" cannabis al di là della stereotipa vacuità del proibizionismo.


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