CANNABIS
Il fumo d'erba
da Gautier
al duemila
- GIANCARLO ARNAO
N
ELL'OTTOCENTO la cannabis viene usata in Occidente
come farmaco principalmente per i suoi effetti sedativi e
analgesici. Attorno alla metà del secolo comincia ad essere
sperimentata come strumento per ottenere stati di coscienza
alterati: è del 1845 la prima pubblicazione del parigino "Club
des Haschischins" fondato da Theophile Gautier insieme a
Baudelaire, Hugo, Balzac, Dumas e altri; nello stesso anno Moreau
de Tours pubblica uno studio sugli effetti psicoattivi della
sostanza, e nel 1855 esce una monografia sull'esperienza con
l'hashish del tedesco Von Bibra. In questo contesto storico sono
nate le testimonianze di alcuni medici italiani dell'Ottocento
riportate da Giorgio Samorini nel suo ultimo libro (L'erba di
Carlo Erba. Per una storia della cannabis indica in Italia:
1845-1948, Nautilus- Torino, pp. 184, L. . 20.000). Le prime
sperimentazioni avvengono a Milano, dove la cannabis è legalmente
in vendita presso la farmacia del dr. Carlo Erba a Brera, e sono
guidate dal medico Giovanni Polli. I medici hanno indagato le proprietà terapeutiche della cannabis
sperimentando la sostanza su se stessi prima che sui pazienti, e
hanno fornito dettagliati resoconti delle loro esperienze. Poiché
il linguaggio medico dell'epoca non è appesantito (come quello
contemporaneo) da terminologie iperspecialistiche, la lettura è
scorrevole, e il libro può essere letto come un romanzo. Né
mancano le emozioni, perché gli esperimenti dei nostri "eroi" si
concretano in rischiose avventure: basti pensare che tre medici
milanesi hanno fatto una ricerca sul livello di tossicità della
cannabis, assumendo dosi volutamente eccessive, di cui si
ignoravano i possibili effetti. I motivi "ufficiali" della ricerca sono quelli di sperimentare
l'efficacia terapeutica della sostanza su malattie allora molto
diffuse e incurabili, come la rabbia e il colera - tentativi che
hanno avuto esito incerto, e appaiono di scarsa attualità.
Tuttavia, chi legge non può sfuggire all'impressione che gli
sperimentatori siano spinti da un'altra segreta molla: il
desiderio di esplorare l'ignoto, analogo a quello che muoverà
molti "psiconauti" del secolo XX. Infatti, le pagine più
affascinanti del libro sono le reazioni personali dei suoi
personaggi agli effetti della sostanza, descritti in maniera
puntuale e poetica. Come quella di Polli, che scrive: "E questo
incalzarsi rapidissimo di idee, estinguentesi a vicenda le une le
altre, fa sì che il tempo sembri lunghissimo, e che si provi una
gran meraviglia nel vedere che l'indice del quadrante
dell'orologio appaia quasi immobile". O quella del Ceradini, che
descrive "un gaudio veramente ineffabile,... Così intenso, ch'io
credevo di non poterlo sopportare troppo a lungo senza pericolo,
sentendomi quasi venir meno". Le osservazioni di questo tipo
anticipano le acquisizioni più recenti sulla dinamica degli
effetti della sostanza. Ma dal libro di Samorini emergono anche
molti aspetti che appaiono piuttosto lontani dall'esperienza dei
consumatori odierni. Noi sappiamo, ad esempio che la cannabis può
provocare allucinazioni soltanto in dosi fortissime e in casi
rari. Viceversa, i protagonisti del libro di Samorini riportano
quasi di regola episodi di allucinazioni incredibilmente intense.
Come la testimonianza del medico napoletano Valieri:
"caleidoscopio (...) di conversazioni affascinanti, di danze
leggere e di donne leggiadre e voluttuose che si abbandonano ed
ammirano, di sale splendidissime per mense, per vini e per
profumi inebrianti".Episodi di allucinazioni sono stati riferiti
peraltro anche da altri sperimentatori della stessa epoca. Le
differenze dagli spinellatori contemporanei possono spiegarsi con
i dosaggi, con la via di assunzione (prevalentemente orale), ma
soprattutto considerando l'importanza del set (condizioni
e struttura mentale della persona) e del setting
(circostanze e motivazioni dell'uso). E' ragionevole pensare che
il set e il setting (inteso soprattutto come contesto culturale)
dei medici italiani dell'800 fossero molto diversi da quelli di
un consumatore di cannabis degli anni '60 e '70 - e ancora più da
quelli di oggi. La questione è complessa e intrigante. Ma Samorini non entra nel
merito. Il ruolo che orgogliosamente rivendica è quello di
scopritore, da archivi polverosi, di tasselli colorati e preziosi
per ricomporre la storia della "droga" cannabis al di là della
stereotipa vacuità del proibizionismo. |