Dossier - Rapporto Roques
Bernard Pierre Roques è stato il
presidente di una commissione composta da dieci accademici esperti in
sostanze psicoattive, incaricata dal Ministero della Sanità francese di
indagare, facendo uso dei propri lavori e di quelli pubblicati nella
letteratura internazionale, sulle più importanti droghe di uso corrente.
Più in dettaglio "preparare un rapporto scientifico volto a comparare la
pericolosità, in particolare sul cervello, delle differenti sostanze
tossiche e psicotrope, comprese l'alcol e il tabacco, sovente associato
all'assunzione di altre droghe". Quando è stata presentata
ai cittadini francesi la relazione finale dell'indagine, ci sono state
reazioni piuttosto risentite dei produttori e consumatori di alcol
passati, insieme agli eroinomani e ai cocainomani, nella categoria dei
tossicodipendenti. Che l'alcol dia tossicodipendenza lo sapevano
benissimo sia gli uni che gli altri, ma la morale corrente nei confronti
di questa droga è molto benevola. Millenni di consumo l'hanno
perfettamente integrata nell'attuale società, alcolisti cronici e
pubblicità dei superalcolici compresa. La cannabis, che anche secondo
il rapporto Roques è tra le sostanze psicoattive decisamente la meno
pericolosa, subisce la sorte contraria. Non solo è equiparata a droghe ben
più pericolose, ma è anche illegale. Un assurdo con conseguenze
catastrofiche che ha nei politici i maggiori responsabili. È ormai
evidente che se si ragionasse in modo conseguente e pragmatico, in una
politica seria sulla riduzione del danno, bisognerebbe stornare l'uso del
tabacco e dell'alcol che danno dipendenza verso la cannabis che non ne dà.
Ma quale politico potrebbe proporre una cosa simile? Il rapporto
comprende l'analisi di alcol, cocaina, ecstasy, oppiacei, cannabis,
tabacco, medicinali, oltre che analisi sugli effetti delle sostanze sulle
donne in gravidanza, e la dipendenza dovuta ad associazione di sostanze
psicoattive.
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LINKS La Francia svela:
Alcol e tabacco più pericolosi il manifesto 9.1.99
Francia: "Alcol e tabacco come la droga" La Repubblica 9.1.99
DIPENDENZE:
Il rischio nel bicchiere Galileo 16.1.99
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LA CANNABIS La cannabis è la più
utilizzata fra le sostanze, particolarmente tra le fasce di età tra i 15 e
i 30 anni, per le sue proprietà psicoattive, e ciò avviene in molti paesi.
Essa è ugualmente la più discussa, con posizioni spesso "ortogonali" sulla
sua pericolosità e sulle legislazioni da applicare per il suo consumo.
Diverse sono le questioni poste riguardo alla sua utilizzazione, tra cui:
la cannbis ha un effefto di "trascinamento" verso l'uso di droghe dure
quali l'eroina o la cocaina? Quali sono i rischi a lungo termine del
consumo di cannabis (sistema nervoso centrale, cardioovascolari,
respiratori, immunitari, sistema riproduttivo ecc.). Il consumo di
cannabis comporta rischi in materia di circolazione stradale? Cosa ne è
delle proprietà terapeutiche della cannabis? Questo capitolo del rapporto
si propone di fare un rapido punto critico degli argomenti esposti,
tenendo conto dei più recenti risultati ottenuti particolarmente
sull'uomo.
PRESENTAZIONE DEI CANNABINOIDI Utilizzata da
millenni a fini ricreativi o terapeutici, la cannabis era presente nelle
più svariate farmacopee fino agli anni 1930-'40, periodo in cui veniva
progressivamente ritirata a causa dei suoi effetti psicotropi. Dopo alcuni
anni si assiste ad una richiesta di reintroduzione del THC in terapeutica,
cosa che si inscrive tra l'altro nell'attuale tendenza a privilegiare
l'utilizzo medico di composti naturali (estratti di piante in
particolare). Attualmente il THC è utilizzato in terapie in forma di
soluzioni oleose, (dronabinol) essenzialmente negli U.S.A. e l'analogo
sintetico nabilone del Regno Unito. Estratte dalla secrezione (resina,
hashish) delle sommità fiorite e della Cannabis Sativa, i cannabinoidi
presenti nelle foglie sono eterocicli fortemente idrorepellenti. Il
composto più abbondante è il Delta-tetra-idrocannabinolo (THC) la cui
concentrazione nei preparati consumati è andata in questi ultimi anni
progressivamente accrescendosi fino araggiungere il 20% del peso della
resina nelle qualità "Netherweed". Numerose ricerche sono state
effettuate nel tentativo di eliminare gli effetti psicoattivi dei
cannabinoidi per conservare i potenziali effetti terapeutici (analgesici,
antiemetici ecc.), senza probanti successi (Mechoulam et al., 1988;
Rapporto. Modificazioni diverse del THC (come nel caso
dell'11-OH-DELTA8-THC-dimetileptina, ovvero la semplificazione della
struttura) hanno condotto alla produzione di composti da 100 a 200 volte
più attivi nei test comportamentali. Svariate ditte farmaceutiche hanno
sviluppato analoghi del THC, in particolare il CP 55,940 e lo WIN 55,212
al fine di ottenere nuove forme di analgesici. Di struttura più complessa
del THC, queste molecole si legano nelle stesse zone del cervello e
possiedono attività da 4 a 25 volte più forti, tra cui le attività a
livello di poteri antinociseptici. Esse non hanno tuttavia potuto essere
sviluppate in clinica, essenzialmente a causa del fatto che nessuna di
esse ha permesso di eliminare gli effetti psichici del THC pur
preservandone le proprietà terapeutiche. I cannabinoidi vengono consumati
in "canna", il THC più o meno puro può anche essere iniettato per via
endovenosa e, più raramente, può essere assunto sotto forma di compresse,
o mescolato a diverse preparazioni culinarie. Uno studio recente
effettuato su una popolazione di 65.171 persone ha evidenziato che il
rischio di mortalità associato al consumo di cannabis era più basso di
quello che comporta il consumo di tabacco.
DATI DI
FARMACOCINESI In pratica tutte le componenti della cannabis,
comprese quelle risultanti dalla metabolizzazione dei cannabinoidi,
possono essere valutate tramite metodi analitici molto precisi. A causa
della loro forte idrorepellenza, i cannabinoidi, e il THC in particolare,
penetrano rapidamente dopo inalazione nella circolazione generale e
successivamente nel cervello. Dosi di 2 mg di THC in una sigaretta sono
capaci di causare effetti comportamentali, quindi probabilmente di
mobilitare un numero sufficiente di recettori. La sensibilità delle
tecniche di rilievo dei dosaggi nelle urine permette di riconoscere il
consumo di una tale dose durante i tre giorni successivi. Gli effetti
psichici del THC in un neofita compaiono da 15 a 20 minuti circa dopo
l'assunzione per via polmonare, più tardi in un consumatore assiduo, segno
di leggera assuefazione. Questi effetti compaiono dopo 4/6 ore
dall'assunzione in forma orale. La concentrazione plasmatica diminuisce
molto rapidamente con la comparsa dei metaboliti attivi (11-OH THC) o
inattivi (THC-COOH), di cui quest'ultimo molto abbondante nel plasma
sanguigno e nelle urine, l'eliminazione per via biliare é superiore
all'escrezione per via urinaria. Questi dati farmacocinetici sono
evidentemente modificati in presenza di differenti fattori individuali,
naturali o indotti (metabolismo epatico alterato naturalmente o no,
alcolismo, induzione di P450 tramite medicine ecc.) e per via di
somministrazione. Una delle caratteristiche del THC è la sua affinità non
specifica per il tessuto lipidico da cui i cannabinoidi sono eliminati
molto lentamente (fino a 6 giorni dopo l'ultima assunzione in dosi
massicce). Tuttavia si potranno registrare differenze dovute a diversità
tra gli individui, o tra i diversi prodotti consumati in associazione. La
principale incidenza della farmacocinetica complessa dei cannabinoidi
consiste nell'estrema difficoltà di fissare un tasso "accettabile" di THC
nel plasma o nelle urine, contrariamente a quanto avviene con l'alcol. Le
tecniche di rilevamento rapido tramite il test (Elisa) EZ-CREEN, benché
potenti ed affidabili, non sono utilizzabili, o non potrebbero esserlo che
associate ad un questionario contemporaneo all'assunzione di cannabis,
cosa che lo renderebbe indubbiamente molto inaffidabile. Si ammette che
circa 4 ore dopo l'assunzione di dosi abituali di cannabis per inalazione
(<20 mg THC), gli effetti fisiologici e comportamentali siano
completamente spariti.
PSICOFARMACOLOGIA DEI CANNABINOIDI
L'assunzione di cannabis produce una sensazione di euforia e di
rilassamento con percezioni uditive e visuali amplificate, come già detto.
Deboli perturbazioni si osservano nell'attitudine ad effettuare compiti
abitudinari di varia complessità. Ciò si ascrive ad una leggera
diminuzione delle performance psicomotorie e mnesiche, eventualmente
collegate alla riduzione di LTP risultante dall'attivazione dei recettori
CB 1. Questi effetti sono modulati dalle dosi e, ad alte concentrazioni
(>40 mg THC), si potranno osservare sindromi di sedazione, sensazioni
di pesantezza e, a volte, effetti depressivi. È importante notare che gli
effetti di sonnolenza indotti dalla cannabis sono la risultante
dell'azione combinata di differenti cannabinoidi, cosa che spiega che non
siano identici secondo l'origine della cannabis (hashish vs marijuana).
Benché criticabili nella loro metodologia, diversi studi hanno dimostrato
che durante il periodo di impregnazione da THC a dosi elevate, le facoltà
di apprendimento erano leggermente alterate dal consumo di cannabis,
sopratutto a causa di un calo di attenzione. Tuttavia i risultati sono
abbastanza contradditori: i più forti consumatori erano i meno affetti;
mentre nessuna modificazione è stata osservata nelle facoltà di astrazione
e di utilizzazione del vocabolario. Si tratta piuttosto di alterazioni
della memoria a breve termine, apparentemente senza ripercussioni sulla
memoria di lungo periodo. Benché questi effetti sembrino modesti e
meritino di essere confermati da studi più approfonditi, ciò va preso in
conto presso gli adolescenti scolarizzati. Cionondimeno, bisogna notare
che, a dispetto delle modificazioni possibili dei processi mnesici, e di
diverso apprezzamento del tempo spesso notati dai consumatori di cannabis,
la qualità del lavoro effettuato non risulta modificato. Anche il consumo
giornaliero a dosi massicce di cannabis, protratto per molti anni, non
pare indurre comportamenti demotivati o assenza di motivazioni stabili. Le
leggere alterazioni sulla memoria a breve termine da parte della cannabis
utilizzata cronicamente proverrebbero da perturbazioni nell'organizzazione
e integrazione di informazioni complesse. Queste mettono in gioco la
corteccia frontale in cui il THC provoca variazioni del flusso sanguigno e
del metabolismo osservato attraverso neuroimmagini. Gli effetti
comportamentali della cannabis, in particolar modo la sonnolenza e il
rallentamento dei comportamenti motori, hanno condotto a studiarne le
ricadute sulla guida di veicoli. Numerosi studi ed inchieste si sono avute
(vedi il libro bianco, G. Lagier). I risultati sono difficili da
interpretare a causa dell'associazione praticamente costante, nei
conducenti responsabili di incidenti per i quali sono state fatte le
analisi, di parecchie sostanze, tra cui la più frequente era l'alcol.
Usata sola, la cannabis non sembra essere fattore maggiore di rischio di
incidente, cosa che non si può affermare quando associato all'alcol, agli
psicostimolanti o ai tranquillanti. Indagini recenti effettuate su un
maggior numero di casi, potrebbero contraddire questi risultati. In
presenza di allucinogeni, che si potrebbero assumere incidentalmente
mescolati ad ecstasy; gli effetti psichici sono tali che la guida di
veicoli diventa quasi impossibile. Ricerche di laboratorio hanno permesso
di valutare più direttamente gli effetti della cannabis sulla guida.
Effettuate attraverso l'aiuto di simulatori di guida o guide controllate
in città, i consumatori di cannabis sembrano poco diversi dai gruppi
controllati. Tuttavia si constatano nei primi risposte differenti alla
partenza, al sorpasso ecc... Esiste d'altra parte un effetto cosciente di
compensazione delle alterazioni di attenzione, che tuttavia potrebbe esser
considerato un difetto in caso di situazioni inattese o in presenza di
sovracconsumo. Cionondimeno bisogna relativizzare il rischio in rapporto
all'alcol, che resta comunque più pericoloso in termini di incidenti
stradali a causa dei suoi effetti inibitori.
CANNABIS E STATI
PSICOPATOLOGICI La prima volta che si assume la cannabis può
portare, in rari casi, effetti di severa ansietà, simili, nei soggetti
predisposti, a ciò che si prova durante una crisi di panico: reversibili
allorché si arresta l'assunzione e non sembrano riprodursi in seguito. Non
si segnala alcuna patologia mentale direttamente collegata al
sovracconsumo di cannabis, cosa che differenzia questa sostanza da
psicostimolanti come l'MDMA, la cocaina o l'alcol, il cui uso eccessivo e
protratto può dar corso a sindromi psicotiche caratteristiche. Né la
cannabis sembra precipitare la comparsa di disfunzioni mentali
preesistenti (schizofrenia, depressione bipolare ecc...). È comunque
possibile, come per tutte le sostanze a rischio d'abuso, che l'uso
continuato di cannahis si riscontri più spesso presso gli individui
affetti da disturbi psichici, schizofrenici in particolare. Infine nessuna
sindrome amnesica comparabile a quella di Wernicke e Korsakov, osservate
negli alcolisti cronici, si è potuta descrivere nel consumatori eccessivi
di cannahis.
CANNABIS E FUNZIONE CEREBRALE: TOSSICITÀ La
tossicomania da cannabis non comporta neurotossicità del tipo descritto al
capitolo III da criteri neuroanatomici, neurochimici e comportamentali.
Cosicché precedenti risultati, che suggerivano delle modificazioni
anatomiche nel cervello dei consumatori cronici di cannahis misurate per
tomografia, non sono stati confermati dalle moderne e precise tecniche per
neuroimmagini. Ugualmente le alterazioni morfologiche dell'ippocampo dei
topi successive a somministrazione di fortissime dosi di THC non hanno
ricevuto conferma. Parecchi studi sono stati dedicati agli effetti della
cannabis sui potenziali evocati e sull'elettroencefalogramma nell'uomo. Il
consumo intermittente produce cambiamenti reversibili sui profili di onde
alfa nella corteccia frontale probabilmente in rapporto con gli stati di
sonnolenza indotti dal THC. A lungo termine (<15 anni) e con forte
consumo giornaliero, un aumento dell'attività frontale teta insieme ad una
iperfrontalità alfa sono state osservate. L'eventuale relazione con
cambiamenti comportamentali o in test neuropsicologici non è stata
discussa, come del resto quella possibile con gli effetti anticonvulsivi
del THC. Diversi studi constatano variazioni nella circolazione cerebrale
e nel metabolismo in alcune regioni cerebrali, in particolare nelle
regioni del cervelletto e della corteccia prefrontale, rilevate attraverso
il sistema PET Scan o FMRI cosa pure sovente osservata con gli psicotropi.
Sarebbe certamente molto interessante studiare più dettagliatamente la
distribuzione dei siti CB1 occupati da quantitativi di PET Scan, in
funzione: I) della dose di THC consumata; 2) del tempo che intercorre tra
il momento della somministrazione e la misura (cinetica della
dissociazione nelle diverse regioni cerebrali); 3) del collegamento di
questi parametri agli effetti osservati. Ciò richiede lo sviluppo di
leganti selettivi marcati da isotopi radioattivi a decadimento rapido ed a
biodisponibilità appropriate. D'altra parte, tenuto conto dei molti
circuiti neuronali potenzialmente mobilitati dal THC, sarebbe interessante
esaminarli sistematicamente attraverso l'utilizzo di appropriati leganti
PET Scan.
TOLLERANZA E DIPENDENZA DA CANNABIS Si tratta
ancora di soggetto molto discusso. Negli animali, le azioni farmacologiche
del THC e dei cannabinoidi di sintesi danno luogo a fenomeni di
tolleranza. L'origine biochimica di questo fenomeno potrebbe essere dello
stesso tipo di quelle riscontrate negli oppiacei, o un adattamento del
sistema di ricezione-transduzione; cosa che resta da chiarire, come per
tutti i neuromodulatori. Risultati contraddittori concernenti la densità
dei recettori in certe regioni cerebrali sono rapportati con aumento o
diminuzione, misurate attraverso connessioni o ibridazioni in situ.
Cambiamenti comunque reversibili come mostra uno studio effettuato sul
cervello di scimmia, 7 mesi dopo l'esposizione del soggetto a fumo di
cannabis per un anno. Le "droghe" sono generalmente classificate in
funzione della loro attitudine a ingenerare fenomeni di dipendenza fisica
e psichica, e sono considerate a rischio se rispondono a questi due
criteri. La cannabis è stata inserita in questo gruppo di sostanze benché
i cannabinoidi siano ben lontani dal produrre effetti comparabili a quelli
generati da eroina, alcol o tabacco. Così il brusco arresto di un
trattamento cronico di THC ha dato risultati contraddittori nel topo,
poiché nel caso di modificazioni comportamentali, queste non erano
modificate dalla somministrazione dell'agonista. Il naloxone presenta una
sindrome di astinenza leggera molto diversa da quella prodotta
nell'animale dipendente dalla morfina. Il recente sviluppo
dell'antagonista selettivo del recettore CB1, lo SR141716A, ha permesso di
mostrare nel ratto prima e nel topo in seguito, l'esistenza di una leggera
dipendenza fisica al THC molto diversa da quelle generate, ad esempio,
dagli oppiacei. Oltretutto bisognerà aspettarsi che i sintomi di
svezzamento siano ancor più deboli, in assenza della somministrazione di
antagonisti. Ciò corrisponde bene a quello che si può osservare nell'uomo
al momento dell'arresto di consumo di cannabis. In effetti, anche in casi
di uso frequente di dosi massicce, non è stata osservata alcuna sindrome
paragonabile a quella prodotta dallo svezzamento da eroina o da alcol, ad
esempio. Gli effetti dello svezzamento da THC riportati in un recente
studio sono segni di nervosismo, disturbi leggeri del sonno e una
diminuzione dell'appetito che rapidamente scompaiono. L'assenza di severe
sindromi di svezzamento nel caso dei cannabinoidi è indubbiamente dovuta
parzialmente alla sua eliminazione lenta. Sarebbe interessante studiare
questo fenomeno attraverso PET Scan nelle scimmie e nell'uomo. Se gli
effetti comportamentali consecutivi all'arresto di consumo di cannabis
restano modesti, gli effetti cardiovascolari e vegetativi sono, nel
consumatore neofita, più netti (tachicardia sul picco dell'effetto della
cannabis, poi bradicardia. Essi sono soggetti ad assuefazione. È'
soprattutto attraverso la loro attitudine a generare dipendenza psichica
(addiction) che si valuta la pericolosità delle droghe. È provato che la
stragrande maggioranza dei consumatori di cannabis non utilizzano questo
prodotto che occasionalmente, e possono cessarne definitivamente l'uso
senza grandi difficoltà. Ciò è ben dimostrato dalle curve disegnate
dall'evoluzione dei consumi nel corso dei differenti periodi della vita.
Si considera che esista meno del 10% dei grandi consumatori di cannabis
che incontrano difficoltà nell'abbandonare l'uso della sostanza nonostante
lo desiderino. Gli effetti di crisi di astinenza eventualmente
responsabili della dipendenza si ritrovano con la stessa incidenza (9%).
Cionondimeno il dibattito sui rischi di dipendenza alla cannabis è stato
rilanciato nel corso dei due ultimi anni a causa della messa in evidenza
diretta di due parametri considerati come predittivi d'un rischio di
dipendenza. Il primo è la liberazione di dopammina nel nucteus acumbens
indotta dalla somministrazione di THC, e il secondo è dato
dall'osservazione che questa liberazione è antagonizzata dal naloxone, che
sembra dunque controllata dalla stimolazione del sistema oppioideo.
Effettivamente, ciò è stato appena confermato formalmente dalla
dimostrazione di un incremento del tasso extracellulare di Mer-encefalina
nel nucleus acumbens tramite microdialisi dopo trattamento al THC.
Ciononstante questa liberazione è debole, circa 4 volte inferiore a quella
prodotta dall' RB 101, che non produce alcuna dipendenza fisica o
psichica. Il secondo è dato dalla liberazione di CRF indotta dalla
somministrazione di SR141,716A sul ratto trattato cronicamente con THC,
fenomeno ugualmente prodotto dallo svezzamento dall'alcol, o da qualunque
forma di stress. Agendo sui recettori dell'amigdale, il CRF aumenterebbe
le sensazioni di ansia, potenziando così la vulnerabilità alla ripresa di
consumo. La somministrazione acuta dell'agonista CB1, l'HU-210 sul
ratto produce un incremento di liberazione di CRF come succede allorché
l'animale si trovi in condizioni di stress (nuoto, forzato o in campo
aperto). Le reazioni di adattamento del ratto in simili condizioni di
stress sono bloccate dall'antagonista D.Phe-CRF12-41 che riduce
altrettanto le azioni stressanti dell'HU-210. Tuttavia la liberazione di
cortisosterone indotta dall'antagonista CB1 non è, a sua volta, essa
stessa antagonizzata dal 5R141,716A. Le risposte ottenute sui ratti
potrebbero rendere conto di effetti di ansietà che sopravvengono
sporadicamente nell'uomo subito dopo 1' assunzione di una forte dose di
cannabis. Tuttavia, un'altra spiegazione potrebbe venire dalla liberazione
di dinorfine sotto l'azione del THC. Abbiamo già ricordato l'assenza di
relazione diretta tra la liberazione di dopamina nel nucleus acumbens,
provocata da diverse sostanze o da stimoli naturali, e la potenza degli
effetti di rinforzo così come la dipendenza da questi ultimi. Bisogna
ricordare che il THC non sembra capace di indurre un comportamento di
autosomministrazione. Così come, nella maggior parte del casi, non è dato
osservare preferenze di sito al THC cronico e un leggero effetto di
avversione è perfino misurato. Nondimeno una risposta positiva in questo
test è stata descritta e il THC si mostra altrettanto capace di facilitare
l'autostimolazione elettrica della dopammina "di rinforzo". La "deriva"
verso le droghe dure, detta "gateway theory", prodotta dal consumo cronico
di THC non sembra sostenuta dai risultati di recenti esperienze su
animali. Così il trattamento cronico di THC non modifica la preferenza di
sito indotta dalla morfina. L'eterosensibilizzazione corrispondente
all'attivazione della risposta indotta da una droga (per esempio eroina) a
seguito della assunzione di un'altra (per esempio alcol) è fenomeno che
non sembra esser stato studiato dettagliatamente con il THC. Bisogna
tuttavia notare che l'anandamide e il THC sono capaci di diminuire la
severità dello svezzamento dagli oppioidi, cosa che suggerisce che negli
eroinomani la cannabis potrebbe attenuare gli effetti di crisi di
astinenza. Nell'uomo gli studi epidemiologi danno risultati molto
contrastanti secondo il modo in cui i risultati sono presentati ed
interpretati. In questi anni, secondo inchieste condotte negli USA, circa
l'1% dei consumatori di cannabis sarebbero portati all'uso di cocaina,
cosa che non significa che ne diventino dipendenti. Altri studi mostrano
che il consumo di droghe dure a seguito del consumo di cannabis riguarda
soprattutto minoranze di giovani di ambienti sfavoriti, che vivono in
condizioni sociali e familiari instabili, estraniati dalla scuola ed in
contatto con trafficanti di eroina e cocaina. Questi risultati insieme ai
numerosi altri studi epidemiologici sembrano indicare che il consumo di
droghe dure a seguito del consumo di THC avrebbe principalmente cause
psicosociologiche. Ciononostante, benché tutti i criteri stabiliti per
definire una sostanza come causa di assuefazione non siano soddisfatti nel
caso della cannabis, una certa pressione si esercita negli USA perché
siano varati programmi finalizzati all'arresto totale del suo consumo. Ciò
si traduce in richieste di analisi sull'esistenza o meno di un tale
consumo da parte dei datori di lavoro ed il possibile obbligo di
astinenza. E certo che la soppressione del gene recettore CB1 appena
realizzata permetterà di chiarire un certo numero di questioni sulla
farmacologia dei cannabinoidi, tra cui il problema della possibile
esistenza di una eterosensibilizzazione, come è stato fatto con altri topi
geneticamente modificati. Ricerca ancora in corso. Bisognerà nondimeno
restare prudenti su una estrapolazione diretta sull'uomo, per ragioni
evidenti di specie, e più sottili di adattamento possibile (probabile)
inerente a modificazioni generiche in generale.
EFFETTI SUL
SISTEMA RESPIRATORIO Gli effetti tossici più prevedibili della
cannabis sono collegati al suo uso eccessivo per inalazione. In effetti le
stesse concentrazioni di sostanze cancerogene (fenolo, nitrosamine,
sostanze poliaromatiche ecc. ) si ritrovano nel fumo proveniente da
sigarette o da joint. Sono gli effetti più pericolosi nel caso di uso
molto frequente di cannabis, dovuti al rischio di tumore polmonare, tanto
più se si considera che il suo consumo non diminuisce quello di tabacco.
D'altra parte, infiammazioni bronchiali sono state osservate tra i grandi
consumatori (più di dieci sigarette al giorno), così come problemi di asma
ed una alterazione delle funzioni respiratorie benché alcuni di questi
effetti non si siano ritrovati in tutti gli studi. Uno dei pericoli
dell'inalazione di cannabis attiene al fatto che questa è più profonda e
l'aria inspirata più calda. Nondimeno, non esistono studi epidemiologici
che dimostrano che l'associazione cannabis-tabacco sia un fattore di
rischio superiore al tabacco preso da solo, per l'incidenza di cancri
polmonari ed insufficienze respiratori e croniche.
CANNABIS E
SISTEMA IMMUNITARIO Gli studi effettuati su cellule ed "in vivo"
dimostrano che a dosi largamente superiori a quelle utilizzare per fini
ricreativi, i cannabinoidi perturbano il sistema immunitario. Diversi
studi su animali hanno mostrato una riduzione della resistenza alle
affezioni microbiche e virali dopo trattamento di THC, che si comporta
probabilmente come un immunomodulatore agendo sui recettori CB2 periferici
(organi linfoidei, linfociti, macrofagi ecc.). Tuttavia, le dosi
utilizzate erano molto elevate e perciò le eventuali aspettative
patologiche difficili da stabilire... Così è stato recentemente dimostrato
che l'anandamide era capace di stimolare la proliferazione di cellule
ematopoietiche in sinergia con una citochina, 1' interleuchina-3 (IL3) che
agisce attivando recettori glucoproteici della famiglia dei recettori
all'ematopoietina. Questo risultato sembra contraddire le azioni deleterie
del THC sulla resistenza all'infezione, in particolare causata nel topo
dal batterio Legionella pneumophila, che erano state collegate a carenze
nell'azione delle citochine e delle cellule immunocompetenti. Questi
risultati sono discussi in una recente pubblicazione. E' tuttavia
interessante osservare che esiste una grande similitudine strutturale tra
l'anandamide (ed altri cannabinoidi endogeni) e la famiglia dei derivati
dai fosfolipidi (acido arachidonico, prostaglandine, prostacicline, ecc.).
Degli studi potrebbero essere effettuati per verificare gli effetti
diretti dei cannabinoidi sul processo infiammatorio ed immunitario. Il
recettore dei cannabinoidi presente sui macrofagi è diverso da quello
trovato nel cervello, cosa che spiega alcuni effetti immunomodulatori
ottenuti da derivati del THC sprovvisti di effetti psichici. Si può notare
che il THC e la cannabis fumata sono state utilizzate con malati di AIDS
al fine di diminuire gli effetti secondari dei trattamenti (vomiti,
inappetenza, ecc.). Nessuno studio ha riportato effetti aggravanti dei
cannabinoidi sul sistema linfocitico affetto da virus HIV. È' del resto
una ragione invocata per l'utilizzo clinico del THC nei malati di AIDS o
di cancro.
POTERI MUTAGENI E CANCEROGENI DELLA CANNABIS
Due studi fanno il bilancio. Il primo confronta l'azione del THC a
forti dosi durante 5 settimane nel topo, con quella dell'etanolo e di un
mutageno-testimone, il Trenimon. I risultati mostrano che il THC, solo o
in combinazione con l'etanolo, non ha alcun effetto sul tasso di
pre-impianto embrionale, di mortalità fetale e di indice di mutazione. Più
recentemente, uno studio è stato iniziato dal NIH per valutare l'eventuale
potenziale carcinogeno del THC nei roditori (ratto, topo) a dosi
giornaliere culminanti a 500 mg/kg(!) e durante periodi da 3 settimane a
due anni. Nessuna evidenza d'un effetto tumorigeno del THC è stato
osservato. A dosi molto elevate si può notare una certa riduzione di peso.
Esse sono associate a delle più basse frequenze di tumori, compresi i
tumori al testicolo nel maschio e dell'utero e delle ovaie nella femmina.
Un'atrofia di questi ultimi organi si è osservata eventualmente in
relazione ad aumenti importanti nelle concentrazioni ormonali indotte da
dosi molto forti di THC. Gli effetti mutageni della cannabis "fumata"
osservati nel test di AMES sono dunque dovuti all'esistenza del catrame e
dei costituenti ottenuti a partire dalle sigarette, e di cui noi abbiamo
visto che contenevano le stesse molecole del tabacco. Degli studi su
cellule umane in coltura in presenza di THC puro o di condensati di fumo
di sigarette dovrebbero confermare queste osservazioni.
USO
POTENZIALE DELLA CANNABIS IN TERAPIA In passato la cannabis era
vantata per le sue virtù di lenire il mal di testa e diminuire le reazioni
allergiche. Più recentemente il THC è stato utilizzato per le sue
proprietà analgesiche, nel trattamento del glaucoma e come antiemetico. E
quest'ultimo effetto che gli è valso di venire introdotto nella farmacopea
americana nel 1987 dalla FDA (DRONABINOL) per il trattamento di nausee e
vomiti refrattari ad altri antiemetici, in particolare nei pazienti
trattati con anticancerogeni o antivirali. È stata ugualmente osservata
una ripresa dell'appetito. Sono stati effettuati pochi studi clinici
comparativi con altri composti e gli effetti psichici sono apparsi dopo
l'aumento delle dosi. Sarebbe dunque certamente necessario studiare più
dettagliatamente l'interesse del THC, o meglio dei derivati sintetici, e
ciò paragonandoli agli analgesici attualmente utilizzati (vedi la recente
pubblicazione della British Medical Association, 1997).
CANNABIS
E ANALGESIA Un'altra applicazione terapeutica potenziale del THC
sarebbe legata al suo potere analgesico osservato su animali e che sarebbe
privato della componente oppioidea micron e delta, ma potrebbe implicare i
recettori K. Pochi studi cimici in doppio cieco portanti su un sufficiente
numero di pazienti sono stati effettuati per testare le proprietà
analgesiche del THC. I due più significativi sono quello di Noyes et al.,
nel 1975 (36 pazienti sofferenti di dolori cancerosi) e quello di Jain et
al., nel 1981(56 pazienti presentanti dolori post-operatori). Nei due casi
effetti analgesici significativi sono stato osservati in rapporto al
placebo. l'effetto secondario maggiore è uno stato di sonnolenza. Diversi
studi riportano effetti analgesici della cannabis o del THC su diversi
tipi di dolori neurogeni, cosa che in caso di conferma in condizioni
controllate potrebbe diventare un'applicazione interessante poiché questo
tipo di dolori resta sovente refrattario a qualsiasi trattamento, compresa
l'azione della morfina. Altri studi danno risultati contraddittori
(nessuna analgesia in caso di dolori di denti ad esempio). Questi
risultati meritano che degli studi comparativi con altri analgesici,
oppiacei o no, siano intrapresi per confermare l'interesse potenziale del
THC e soprattutto quello degli analoghi di sintesi, che possiedono
affinità superiori al prodotto naturale. In effetti, resta da dimostrare
con chiarezza che gli effetti analgesici sono da collegare all'attivazione
del recettore CB1, ciò essendo ormai realizzabile con l'antagonista
SR174,716A. Se tali lavori confermassero l'interesse degli agonisti CB1
nell'analgesia, ci sarebbe allora da augurarsi di tentare di eliminare, o
almeno ridurre, gli effetti psichici non desiderabili. Non è del resto
neanche certo che ciò sia possibile. Bisogna ricordarsi che nella possente
azione analgesica della morfina la riduzione della componente emozionale
del dolore per mobilitazione del sistema edonico gioca certamente un ruolo
importante.
CANNABINOIDI ED EFFETTI ANTIEMETICI È il
campo in cui probabilmente i risultati sono i più convincenti, in
particolare tra i malati colpiti da AIDS e sottoposti a trattamenti che
frequentemente inducono nausea e vomito. Non solo questi effetti appaiono
significativamente ridotti dal THC, ma anche una ripresa di peso è stata
osservata, a testimoniare un miglioramento della presa di alimenti. Il
meccanismo dell'azione antiemetica del THC resta incognito, come la
localizzazione dei siti di legame implicati. È pertanto necessario, prima
di inquadrare un utilizzo terapeutico dei cannabinoidi, dominare meglio il
suo meccanismo d'azione, e soprattutto paragonare i suoi effetti a quello
dei migliori antiemetici attuali. Ad ogni modo sarebbe augurabile, se gli
effetti antiemetici e stimolanti dell'appetito si esercitano attraverso
l'attivazione dei recettori CB 1 e/o CB2, che dei composti sintetici più
potenti del THC e, se possibile, privati dei relativi effetti psichici,
vengano sviluppati. L'avvenire terapeutico dei cannabinoidi (agonisti e/o
antagonisti), dovrà passare attraverso degli studi classici di sviluppo di
un farmaco prima della sua autorizzazione all'immissione sul mercato. Ciò
necessita quindi che gli effetti benefici eventuali di un cannabinoide
siano paragonati a quelli prodotti da rappresentanti della stessa classe
terapeutica, e ne risultino superiori. Ciò nulla toglie al potenziale
interesse di questa classe di molecole, ma la riposiziona, come per altre,
nella abituale strategia di valutazione delle attività
terapeutiche.
RACCOMANDAZIONI
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La cannabis non possiede alcuna neurotossicità così
come è stata definita al capitolo III. Da questo punto di vista, la
cannabis si differenzia completamente dall'alcol, dalla cocaina,
dall'ecstasy e dagli psicostimolanti così come da certi farmaci usati
per fini tossicomaniaci.
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Oltre alla loro neurotossicità, queste sostanze
inducono alterazioni comportamentali molto severe ed una pericolosità
sociale, nel caso dell'alcol e della cocaina, che non si riscontrano
praticamente mai con la cannabis. Il THC e certi derivati agonisti
potrebbero al contrario diminuire la frequenza di crisi epilettiche e
proteggere da alterazioni neuronali ischemiche benché ciò richieda di
essere confermato.
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La tossicità della cannabis "fumata" nei confronti del
sistema respiratorio e cardiovascolare non deve esser sottovalutata
benché essa resti senza dubbio debole rispetto a quella del tabacco per
semplici ragioni di quantità consumate, almeno tra i consumatori
occasionali, cioè il 90% della popolazione.
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I risultati di numerosi lavori effettuati tanto su
animali che sull'uomo mostrano un'alterazione temporanea delle
performance mnesiche, un difetto di attenzione e uno stato di sonnolenza
indotto dalla cannabis. Effetti che dipendono dalle dosi utilizzate. Ci
si augura che studi comportamentali in modelli animali appropriati
(ratto e scimmia) siano intrapresi per oggettivare queste alterazioni e
misurarle durante l'età dello sviluppo e l'età adulta. Ciò completerebbe
degli studi elettrofisiologici che restano necessari per studiare i
meccanismi della diminuzione delle prestazioni mnesiche. Tenendo conto
dell'uso frequente della cannabis durante il periodo di età scolastica o
universitaria, e benché questo uso non pare condurre ad insuccessi più
numerosi o a demotivazioni, è auspicabile che la popolazione
scolarizzata sia informata di questi particolari effetti della cannabis.
Ci sarebbe la diminuzione, provocata dalla cannabis, delle capacità di
libera scelta, di autenticità e di spontaneità, che potrebbero essere
utilizzati come argomenti dissuasivi verso il consumo durante i corsi.
Gli studi attuali non accreditano l'esistenza di una sindrome
psichiatrica propria della cannabis. Ci sarebbe comunque l'eventuale
"rivelazione" di uno stato schizofrenico soggiacente.
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Le alterazioni delle funzioni riproduttive osservate su
cellule o sui roditori meritano che si valutino gli effetti della
cannabis sulle cellule (e tessuti) umani prima di ogni conclusione.
Studi in questo senso dovrebbero iniziare quanto prima. La struttura
chimica del fattori (effettori) endogeni dei recettori ai cannabinoidi
lasciano intravedere un possibile ruolo (psicologico?, farmacologico?)
nel meccanismo infiammatorio. Ciò potrebbe rendere conto di effetti
spesso contraddittori del THC sulle cellule immunitarie,
sull'infiammazione bronchica, la riduzione dei processi infiammatori
dolorosi, ecc. Anche gli studi epidemiologici si rendono necessari. La
pericolosità di un composto in termini di assuefazione si misura non
soltanto dagli sforzi per procurarsi la sostanza, ma dalla considerevole
energia consumata nel tentativo di sfuggire alla sua dipendenza. La
cannabis ingenera effetti edonici. E' dunque suscettibile di indurre
dipendenza. Meno del 10% dei consumatori eccessivi diventano dipendenti
alla cannabis, cosa non trascurabile ma di molto inferiore al rischio
indotto dal consumo eccessivo di alcol o di tabacco. Bisogna aggiungere
che questa percentuale diventa inferiore al 2% se si considera l'insieme
della popolazione dei consumatori di THC (90% essendo occasionali).
Nessuno studio epidemiologico è stato intrapreso per paragonare le
difficoltà di abbandono tra i consumatori di cannabis, alcol e tabacco,
ma l'evoluzione di questi in funzione dell'età mostrano che la cannabis
è la meno assuefacente. E' del resto la ragione per cui il NIDA non ha
giudicato utile raccomandare dei lavori sulla messa a punto di
trattamenti sostitutivi della cannabis.
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L'interesse a studiare gli effetti del THC in vista di
utilizzazione terapeutica ha costituito l'oggetto di un rapporto molto
recente di esperti della British Medical Association. Questi ultimi
mettono in evidenza che i lavori sull'uso medico del THC restano
anedottici e non danno risultati scientifici incontestabili,
specialmente quando si paragonano gli studi effettuati con quelli
necessari per l'immissione sul mercato di un nuovo farmaco. Essi
osservano altrettanto che i cannabinoidi, utilizzati da gran tempo da un
numero elevatissimo di consumatori, non hanno dato luogo ad effetti
tossici maggiori, e che essi si comportano dunque come: "droghe
notevolmente sicure, con un profilo degli effetti collaterali superiore
rispetto a molte droghe utilizzate per le stesse indicazioni". Noi
pensiamo ugualmente che l'avvenire terapeutico potenziale dei
cannabinoidi (sintetici) passi attraverso una valutazione delle loro
proprietà secondo le norme usuali di immissione sul mercato dei farmaci.
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