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Lettera aperta al Prof. Umberto Veronesi, Ministro della Sanità
Illustre Signor Ministro,

siamo un gruppo di pazienti affetti da differenti patologie, le cui vicende sono narrate in dettaglio nelle pagine di questo "libro bianco", che ci auguriamo avrà il tempo e la voglia di sfogliare.
Molti di noi combattono ormai da parecchi anni la loro battaglia contro la propria malattia, coadiuvati in ciò dai rimedi che la medicina ufficiale ha saputo mettere a nostra disposizione. Si tratta, molte volte, di rimedi solo parzialmente efficaci, talora con effetti collaterali indesiderati di una certa rilevanza.

Nel corso di questi anni, alcuni di noi hanno potuto verificare che l'assunzione di derivati della Cannabis si è rivelata in grado di aiutarci a trovare sollievo alle nostre sofferenze. Per alcuni è stata una scoperta del tutto casuale, per altri il punto d'arrivo di un percorso di approfondimento delle conoscenze al riguardo. Esiste, infatti, come lei ben saprà, una ricca mole di pubblicazioni scientifiche, che conferma quanto alcuni di noi hanno avuto modo di sperimentare in prima persona.

Ma la possibilità per noi tutti di potere liberamente fare ricorso a queste sostanze è risultata fortemente limitata dal fatto che si tratta di sostanze non reperibili legalmente. L'unica maniera di ottenerle è il ricorso al mercato nero, comportamento che molti di noi ritengono eticamente censurabile oltre che rischioso, cioè ricorrendo alla coltivazione "in proprio", il che ha esposto alcuni di noi a conseguenze penali che consideriamo inaccettabili.

Per quanto ci si sforzi non riusciamo a capire perché ci si debba accanire a proibire l'uso terapeutico di una sostanza che può dare sollievo a chi soffre, e che sotto il profilo farmacologico risulta molto meno tossica e molto più sicura di molti farmaci regolarmente in commercio. Vogliamo augurarci che la sua sensibilità di medico la motivi a fare tutto quanto è nelle sue possibilità per rimuovere gli ostacoli che si frappongono all'uso di queste sostanze in un contesto di legalità e sicurezza.

Le chiediamo, in concreto, di fare quanto è nelle sue possibilità per:
1) L'immissione nel prontuario farmaceutico dei cannabinoidi di sintesi già disponibili in commercio in altri paesi (dronabinol e nabilone).
Tali farmaci sono già regolarmente registrati e legalmente disponibili in alcuni paesi dell'Unione Europea. Basterebbe applicare il principio del mutuo riconoscimento per renderli disponibili anche in Italia. Ciò consentirebbe di superare la assurdità della attuale situazione legislativa che, pur prevedendo, in linea teorica, la prescrivibilità di tali sostanze (con le modalità previste dall'art. 43 del T.U. sulle sostanze stupefacenti e psicotrope), non contempla in concreto le modalità di soddisfazione di una tale prescrizione.

2) L'individuazione di laboratori pubblici e istituti universitari per la produzione di preparati naturali di cannabis a contenuto noto di THC.
Tale modalità di approvvigionamento, utilizzata in paesi come gli USA che pure adottano legislazioni tutt'altro che permissive in materia di sostanze stupefacenti, è anch'essa contemplata dagli articoli 26 e 27 del T.U. ma non ci risulta che a tali norme sia mai stata data attuazione

3) Il finanziamento di ricerche su modalità di assunzione dei cannabinoidi alternative al fumo
Una grossa limitazione all'uso di tali sostanze è dato, come è noto, dai rischi connessi alla loro assunzione tramite il fumo. Tale dato è stato giustamente sottolineato dall'Institute of Medicine della National Academy of Science USA, che ha sottolineato la necessità di individuare modalità di assunzione alternative. Ci risulta che in altri paesi siano in corso ricerche in tal senso: la American Cancer Society di New York e del New Jersey ha recentemente finanziato studi per la realizzazione di "cerotti" a rilascio transdermico, la Royal Pharmaceutical Society of Great Britain sta valutando, con risultati promettenti, l'impiego di "spray" per la somministrazione sublinguale.

4) La sperimentazione, presso l'Istituto Superiore di Sanità o altri Istituti di ricerca, di protocolli terapeutici in quelle patologie in cui ci sono promettenti evidenze ma non ancora certezze.
Mentre per alcune patologie (trattamento della nausea nei pazienti in chemioterapia, stimolazione dell'appetito nei pazienti con wasting syndrome da AIDS) esistono già evidenze sufficienti a giustificare l'utilizzo terapeutico dei cannabinoidi nell'uomo, per altre patologie (trattamento della spasticità nella sclerosi multipla o nei traumi midollari, terapia del dolore, prevenzione delle convulsioni epilettiche, trattamento di patologie neurodegenerative) esistono promettenti evidenze sperimentali oltre che convincenti esperienze aneddotiche. In tutte queste condizioni riteniamo che, analogamente a quanto sta già avvenendo in molti paesi europei, debbano essere messe in atto, nel nostro paese, sperimentazioni cliniche controllate che ne verifichino l'efficacia.

La ringraziamo sin d'ora per la sua attenzione e per tutto quanto vorrà fare per dare risposta alle nostre richieste.

Giampiero T.
Stefano G.
Ines S.
Maria M.
Luigi A.
Sergio G.


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