Vincenzo Di Marzo e' Primo Ricercatore dell'
Endocannabinoid Research Group dell'
Istituto per la Chimica di Molecole di Interesse Biologico del
CNR di Napoli. Il suo gruppo ha prodotto una notevole mole di pubblicazioni sul sistema dei cannabinoidi endogeni, tra cui un recente studio che fa luce sul ruolo degli endocannabinoidi nella modulazione del movimento e apre prospettive per un futuro impiego di queste sostanze nella terapia del morbo di Parkinson.
D. I risultati del suo lavoro rivelano l'importanza del sistema degli endocannabinoidi nel controllo della motilita' volontaria.
Quali sono le possibili ricadute terapeutiche di un tale dato?
R. Se i risultati da noi ottenuti in questo modello animale verranno confermati
anche nei primati, sarà possibile prevedere che sostanze in grado
di diminuire i livelli o l'azione degli endocannabinoidi possano essere utilizzate per alleviare i sintomi del morbo di Parkinson's anche nell'uomo.
Va aggiunto, inoltre, che è possibile
che la produzione degli endocannabinoidi venga invece inibita eccessivamente
durante la cura tradizionale del Parkinson's con L-dopa (il precursore
biosintetico della dopamina).
Infatti, in pazienti trattati a lungo con
questo farmaco per il morbo di Parkinson's, si è
riscontrato un disturbo collaterale del movimento denominato dischinesia.
Nel caso in cui si dimostrasse che tale disturbo sia dovuto ad una
diminizione eccessiva di endocannabinoidi, la dischinesia da trattamento
cronico con L-dopa potrebbe essere curata con agonisti sintetici del
recettore CB1 dei cannabinoidi.
In conclusione, molecole derivate dallo
studio degli endocannabinoidi potrebbero rilevarsi utili nel trattamento sia
dei sintomi del Parkinson's che degli effetti collaterali, in qualche modo
opposti, dovuti alla cura del morbo con L-dopa.
D. Oltre che nel controllo del movimento in quali altri campi il sistema
degli endocannabinoidi svolge importanti funzioni di regolazione e quali saranno
i futuri campi di investigazione del suo gruppo di ricerca al riguardo?
R.
Molto presto sapremo se il sistema endocannabinoide gioca davvero un ruolo
fondamentale nel sistema nervoso centrale, ad esempio nel controllo
dell'apprendimento e della memoria, dove gli endocannabinoidi hanno un ruolo
inibitorio, dell'appetito e dell'assunzione di cibo, in cui tale sistema ha
invece un ruolo stimolatorio, e nella regolazione degli stati d'animo,
suggerita dalla presenza sia di endocannabinoidi che di recettori CB1 nel
sistema limbico.
Ma l'importanza di queste molecole endogene potrebbe non
essere limitata al sistema nervoso centrale.
Esistono oggi evidenze
sperimentali che suggeriscono che gli endocannabinoidi, attraverso numerosi
meccanismi, regolano la riproduzione, il sistema cardiovascolare e
quello gastrointestinale, nonchè il rilascio di alcuni ormoni dall'ipofisi e
da altre ghiandole. Attraverso numerose collaborazioni con laboratori europei e
statunitensi, il nostro gruppo si sta muovendo in tutte queste direzioni
allo scopo di capire quali siano le vere funzioni fisiologiche del sistema
endocannabinoide. Infatti, a 8 anni dalla loro scoperta, gli
endocannabinoidi sembrano essere un pò dappertutto e fare un pò tutto.
La
vera sfida sarà di individuare il vero meccanismo d'azione e il ruolo chiave
di queste molecole.
D. Quali sono, allo stato attuale, i campi in cui l'impiego terapeutico
dei cannabinoidi potrebbe rivelarsi piu' promettente?
R.
Un conto è il ruolo fisiologico degli endocannabinoidi, un'altro il loro
possibile utilizzo terapeutico.
Una volta provata l'esistenza di relazioni
causa-effetto tra i sintomi di diverse patologie ed alterazioni nel
sistema endocannabinoide, si potrà porre un rimedio a tali patologie
manipolando i livelli o l'attività degli endocannabinoidi nei tessuti,
utilizzando cioè inibitori del metabolismo o agonisti ed antagonisti dei
recettori CB1.
Ma è anche vero che, se verranno stabilite delle chiare
attività farmacologiche per tali molecole, o per i loro derivati sintetici,
esse potrebbero essere utilizzate per alleviare anche disordini per i
quali non sia stata provata una relazione con alterazioni dei livelli di
endocannabinoidi.
Un'esempio di quest'ultima strategia potrebbe
venire da studi effettuati nel nostro ed in altri laboratori sull'attività
analgesica, anti-infiammatoria ed anti-tumorale degli endocannabinoidi.
Sebbene l'esistenza di un "tono" endocannabinoide che controlli la
percezione del dolore, i fenomeni infiammatori e la crescita di cellule
tumorali non sia ancora stata provata, nulla toglie che endocannabinoidi
sintetici possano essere comunque utilizzati come farmaci in queste
patologie.
Detto questo, prevedo che molecole derivate da studi sul sistema
endocannabinoide potranno essere utilizzate come analgesici, anti-spastici
(ad es. per alleviare sintomi tipici della sclerosi multipla e
dell'epilessia), agenti vasodilatori o nell'inibizione della crescita di
alcuni tumori.
E la lista potrebbe presto allungarsi.
D. Il suo gruppo è in Italia uno dei pochi (se non l'unico) che produce ricerca sugli endocannabinoidi, un terreno sul quale c'è invece,
negli USA e negli altri paesi europei, un grande "fervore scientifico". Come
spiegare questa anomalia?
R.
Innanzitutto va sottolineato che gruppi di ricerca sui cannabinoidi in
Italia, in particolare a Cagliari e a Milano, esistevano già prima che noi
iniziassimo a lavorare in questo campo, anche se si tratta di laboratori
storicamente più orientati a comprendere la possibile interazione dei
cannabinoidi con droghe pesanti, e che solo di recente si sono concentrati
sul possibile ruolo fisiologico del sistema endocannabinoide.
Che l'Italia
non sia sempre stata, per usare un "British understatement", all'avanguardia
nella ricerca scientifica e tecnologica purtroppo è una cosa risaputa. Si
preferisce usare i pochi fondi disponibili per studi di presunto maggiore
potenziale applicativo.
Va anche detto però che, benchè la cannabis sia una
pianta medicinale nota da migliaia di anni, la ricerca intensiva sul sistema
endocannabinoide è cominciata solo ai primi degli anni '90, cioè quando si è
capito il meccanismo d'azione dei cannabinoidi e ne sono stati scoperti
recettori e analoghi endogeni.
D'altronde, la ricerca sui cannabinoidi
prima, e, nell'ultimo decennio, sugli endocannabinoidi è stata comunque
trascurata anche in altri paesi, e solo ora all'estero, e in particolare in
Inghilterra e negli Stati Uniti, se ne percepisce l'elevato potenziale
applicativo in campo farmaceutico.
Anche in Italia si incomincia ad
intravedere un grosso interesse negli endocannabinoidi e nel loro possibile
ruolo fisiologico, e piccoli gruppi di ricerca su questo argomento stanno
spuntando un po' dovunque, ad es. a Roma, Napoli, Ferrara, ecc., come
testimoniato da un recente convegno tenutosi a Napoli a Maggio e di cui
esiste un accurato resoconto nel volume di Agosto di "Trends in
Pharmacological Sciences".
Spero che presto anche le autorità competenti
italiane si accorgano di questo nuovo e promettente campo di ricerca farmacologica e
biochimica, e inizino a promuovere nuovi studi che possano consentire di
colmare il ritardo nei confronti di altri paesi.