Volevo raccontarvi una storia di cui sono stato testimone, che riguarda una persona nel frattempo passata a miglior vita.
Sono un infermiere professionale di Macomer (NU). Nel
1997, poco dopo aver conseguito il diploma, tiravo a campare con lavori saltuari e assistenze
domiciliari . Fu in quel periodo che iniziai a lavorare per A. (scusatemi ma preferisco non indicare
il suo nome per intero).
A. era un uomo sui 45 anni affetto dalla nascita da tetraparesi spastica, per
problemi passati in gravidanza dalla madre. Doveva essere legato
strettamente alle braccia, alle gambe, ai polsi e alle caviglie, altrimenti
gli arti si muovevano con scatti incontrollati, e guai a chi si trovava
sulla traiettoria! Ad onta di ciò, il cervello di A. era perfettamente funzionante.
A. si muoveva per strada anche da solo, tramite una carrozzina elettronica, cui veniva saldamente legato, manovrabile per mezzo di un joystick che A. comandava per mezzo del dito medio (una volta assicurato il braccio,poteva comandare i movimenti delle dita).
Un pomeriggio,vista la bella giornata, ci recammo insieme in un giardino pubblico ed incontrammo un amico comune che ci offrì una "canna": dopo aver fumato, non potei fare a meno di notare che gli arti di A., perennemente rigidi e prossimi alla contrazione violenta, si erano rilassati a un livello neppure lontanamente paragonabile a quello solitamente raggiunto con la consueta terapia farmacologica assunta da A. (per inciso: 1 cp di diazepam da10mg + 1 cp di baclofene da 25 mg ogni 8 ore!), tanto che gli domandai: "Che ne dici se ti slego le braccia?" Lui rispose sorridendo (e vi assicuro che fu il più bel sorriso che qualcuno mi avesse mai fatto):"E cosa aspetti? Finalmente ho trovato un accompagnatore che mi capisce al volo!"
Ci credereste? Non solo A. trascorse almeno due ore completamente sciolto dai suoi legacci,ma riuscì a fumare una sigaretta - e ad accendersela - tutto da
solo!
Decisi di approfondire la questione: A. mi confidò che su di lui hashish e
marijuana non avevano alcun effetto stupefacente,al contrario,si sentiva rinvigorito nella mente e nell'intelletto (parole sue), e tutto ciò oltre all'evidente effetto miorilassante.
A. mi chiese dunque di apportare alcune modifiche alla sua terapia: mi chiese di eliminare il diazepam nonchè il baclofene e di instaurare,ad insaputa di tutti,un uso ragionato di cannabis e derivati.
Ovviamente, non potevo accontentarlo appieno, così si giunse a un
compromesso: avremmo eliminato il diazepam che gli causava torpore, pesantezza
fisica e "rincoglionimento", sostituendolo con opportune dosi di hashish e
continuando ad utilizzare il baclofene.
Nei mesi successivi A. riuscì di volta in volta a muoversi da solo per
strada, a tenere in mano un cucchiaio o una forchetta e a portarseli alla
bocca senza disperdere il contenuto,addirittura sfogliava il giornale! Tutte
cose assolutamente impensabili prima.
E, cosa più importante, riscontrai un notevole miglioramento dell'umore, che prima era brutalmente depresso, cosa che in passato lo aveva portato a fare abuso di alcool .
Finché usammo questo regime terapeutico A. ridusse drasticamente il consumo di alcool fino ad eliminarlo del tutto. Poi accadde che ci fu una retata dei
cacciatori di Sardegna nel mio paese, che misero al fresco buona parte dei
pushers da cui ci si riforniva, e immancabilmente A. riprese a bere.
Il 1 marzo 1999 A., sotto i fumi dell'alcool, mentre conduceva la sua carrozzina da solo (io ero a casa mia, avrei dovuto vederlo solo 2 ore più
tardi), "inciampava" contro un marciapiede e cadendo si procurava una lesione
cerebrale che, nonostante il rapido intervento neurochirurgico, lo mandava in
coma irreversibile.
E' inutile che vi descriva il mio rimorso e la mia rabbia per quanto
accaduto: sono cose che mi porterò appresso finché campo. Probabilmente se A. avesse potuto
utilizzare un farmaco ad hoc a base di cannabis, nella più completa legalità
e trasparenza, tutto ciò non sarebbe mai successo.
Il 21 marzo 1999 A. moriva senza aver mai ripreso conoscenza.
Di una cosa sono sicuro: A. sarebbe d'accordo con me nel rendere nota questa
storia, anche se non abbiamo modo di chiederglielo.
Pietro